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Corte di cassazione – Ordinanza 15 maggio 2020, n. 8972. La mancata vendita non è addebitabile al professionista che ha ristrutturato il bene.

Quali possono essere le conseguenze per il proprietario di un immobile nel momento in cui un promissario acquirente del bene cambia idea? Alcuni effetti si possono rilevare nell'ordinanza 8972 del 2020, nella quale la Cassazione si è pronunciata su un caso originato dall'atto di citazione in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, del proprietario di un immobile nei confronti di un professionista ai quali aveva assegnato l'incarico di progettazione e direzione dei lavori di ristrutturazione del proprio bene.

 

Il recesso del promissario acquirente

A causa di difformità tra il progetto e lo stato effettivo dell'immobile seguito all'avvenuta ristrutturazione, la società che si era resa promissaria acquirente del bene aveva deciso di recedere dal contratto preliminare, obbligando il proprietario a dover affrontare le spese per ottenere la concessione in sanatoria. Per questi motivi chiedeva la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all'inesatto adempimento degli incarichi.

 

Le decisioni di merito

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando il professionista al pagamento della somma di euro 143.881,08, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento per le spese sostenute per la sanatoria amministrativa dell'immobile, per l'impugnazione davanti al Tar del provvedimento del Comune e per il deprezzamento subito dall'immobile nei tempi necessari alla sanatoria. Non accoglieva, invece, quelle inerenti la mancata vendita dell'immobile, in quanto l'attore era consapevole, al momento della stipula del preliminare, delle irregolarità commesse nella ristrutturazione dell'immobile. In secondo grado, la Corte accoglieva parzialmente l'appello del professionista, riducendo il risarcimento ad euro 10.802,80, rappresentato dalle sole spese sostenute per la sanatoria amministrativa, ritenendo le altre non imputabili all'opera prestata dall'appellante.

 

I motivi del ricorso alla Suprema corte

Gli eredi del proprietario, nel frattempo deceduto, proponevano ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste il professionista con controricorso. I ricorrenti lamentavano che la Corte d'appello avesse ingiustamente escluso che la mancata conclusione del preliminare fosse imputabile al tecnico anche nella ipotesi in cui le parti si fossero determinate a procedere ugualmente nella compravendita nonostante la situazione urbanistica ed edilizia, affermando, inoltre, che la perdita della chance di vendita era dipesa esclusivamente da circostanze connesse all'opera del professionista, il quale aveva l'obbligo di sanare la situazione degli accessi prima di procedere con altri interventi edilizi. Anche la preesistente irregolarità di passi carrai e recinzioni erano, per i ricorrenti, un evidente travisamento dei fatti, tenuto conto che per essi era stato ottenuto il permesso di costruire in sanatoria. Non solo, ma la Corte aveva, per gli eredi, erroneamente attribuito prevalenza alla testimonianza del tecnico della società promissaria acquirente per ciò che riguardava la consapevolezza del defunto proprietario sulle irregolarità urbanistiche, non tenendo conto che prima della stipula del contratto le parti non erano a conoscenza di queste irregolarità. I ricorrenti, inoltre, lamentavano che il Tribunale avrebbe erroneamente liquidato, a titolo di risarcimento, gli interessi legali sulla somma di euro 263.000 anziché su quella maggiore di euro 361.520, costituente il prezzo dell'immobile che il venditore avrebbe potuto incassare nel 2005, mentre la Corte d'appello avrebbe escluso, senza alcuna motivazione, il risarcimento del danno liquidato dal Tribunale nella misura di euro 46.558 per la perdita degli interessi che il proprietario avrebbe percepito dalla somma ricavata dalla vendita dell'immobile.

 

La decisione

Dichiarando inammissibili i primi due motivi, la Cassazione ha chiarito che le censure si appuntano non sull'omesso esame di un fatto storico ma sulla ricostruzione logico deduttiva di questo fatto compiuta in sentenza. Nel caso in questione, se le irregolarità dell'immobile fossero o meno note al promittente venditore al momento della stipula del preliminare. La sollecitazione di una nuova valutazione delle prove, è inammissibile nel giudizio di legittimità. Infondati i successivi motivi di ricorso. La sentenza impugnata aveva chiaramente escluso che potesse essere attribuito all'inesatto adempimento professionale il danno lamentato dall'attore a causa della mancata conclusione del contratto definitivo di compravendita immobiliare, affermando che la sentenza di primo grado doveva essere riformata riducendo l'importo della condanna alle sole spese sostenute dal proprietario per la sanatoria amministrativa dell'immobile, escludendo, quindi, la fondatezza di ogni pretesa risarcitoria correlabile alla mancata conclusione del contratto. Sulla decisione impugnata nella parte in cui, limitando il risarcimento al solo importo di euro 10.802,80, era stata esclusa anche la somma che il Tribunale aveva riconosciuto per la perdita degli interessi, la Corte ha chiarito che il vizio di motivazione causa di nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori, è configurabile solo quando la motivazione non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Rigettando il ricorso, la Cassazione ha condannato i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. (Fonte: Il Sole24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 20 maggio 2020).

 

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